Il test ha coinvolto 14 marche fra le più note in Germania. I livelli registrati oscillano fra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi, che è il limite consentito dalla legge per l’acqua potabile. Non esiste, invece, un limite per la birra. Le marche oggetto di analisi sul glifosato sono: Beck’s, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, König Pilsener e Jever.
Manca poco alla decisione della Commissione europea sul rinnovo dell’autorizzazione del glifosato (sarebbe dovuta arrivare a dicembre 2015) e continuano le analisi sui prodotti più vari per verificare la possibile contaminazione. Il rischio, infatti, è che il glifosato dichiarato probabilmente cancerogeno dall’organismo internazionale Iarc (International Agency for Research on Cancer) finisca in molti prodotti di uso quotidiano, dagli alimenti come il pane ad oggetti come i tamponi, le garze e gli assorbenti.
Discordanti i giudizi degli esperti sul glifosato
Iarc: l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro lo ha classificato come «probabile cancerogeno per l’uomo» nel marzo 2015. Sophia Guttenberger, dell’istituto di Monaco che ha compiuto la ricerca, ha detto che «una sostanza, che potrebbe essere cancerogena, non perde nulla né nella birra né nel corpo umano».
Bfr: l’Istituto federale per la valutazione del rischio, residui di glifosato nella birra sono «dal punto di vista scientifico plausibili», dal momento che l’erbicida è autorizzato come diserbante. «Un adulto dovrebbe bere intorno ai mille litri di birra al giorno per assumere una quantità di glifosato preoccupante per la salute», ha fatto sapere il Bfr in una nota.
Infine alla metà di novembre l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), ha condiviso quest’opinione, dichiarando che il glifosato è “probabilmente non cancerogeno”.
Dopo aver ripercorso la storia del glifosato e dello scontro tra scienziati che ne è inevitabilmente scaturito, Anke Sparmann – il giornalista tedesco di Die Ziet autore dell’articolo su Internazionale – ha puntato il dito verso lo studio dell’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio (Bfr) utilizzato dall’Efsa per formulare il suo giudizio di “quasi” assoluzione. Questo studio – si legge sulla rivista – è stato scritto dalla Gliphosate task force, ovvero un gruppo in cui collaborano i produttori di fitofarmaci o meglio le aziende che hanno chiesto di poter vendere il glifosato nei paesi dell’Unione europea. Il rapporto tedesco di 947 pagine consiste sostanzialmente in una serie di riassunti di studi commissionati da quelle aziende per indagare gli effetti del glifosato sulla salute.
Esperimenti sottovalutati
Il rapporto della task force sul glifosato era già stato compilato quando la Iarc ha emesso il suo verdetto ma dopo che l’Agenzia ha concluso che l’erbicida è “probabilmente cancerogeno”, il Bfr ha pubblicato un’appendice per integrare il documento. Nel testo aggiunto l’istituto tedesco esaminava più nel dettaglio anche studi che non erano stati finanziati dall’industria e che avevano superato il processo di verifica. Tuttavia dava a questi studi una valenza diversa. In particolare, per smontare gli studi che avevano dimostrato l’insorgenza di neoplasie in ratti cibati con il glifosato, i tedeschi avevano osservato alcuni esperimenti dalle conclusioni analoghi ma condotti su topi che avevano assunto mangimi senza glifosato. Questo gli aveva permesso di concludere che le neoplasie non erano correlate all’erbicida. Peccato che – come scrive sempre Internazionale – questi esperimenti non erano stati effettuati in un periodo di tempo paragonabile, non hanno usato lo stesso tipo di topi né lo stesso tipo di laboratorio.
L’Ispra continua ad ignorare il glifosato
Al centro di questa lotta tra gli scienziati, ci sono i consumatori fino ad oggi scarsamente tutelati dall’esposizione al glifosato. Le evidenze sono “limitate” ma c’è il pericolo che l’esposizione a questo erbicida possa causare il linfoma non-Hodgkin. Una conclusione che dovrà essere corredata da ulteriori studi (lo stesso Iarc deve ancora pubblicare i dettagli scientifici del suo studio) ma che, per ora, è suffragata da alcune indagini epidemiologiche su contadini di Usa, Canada e Svezia. Lo Iarc, inoltre, ha ravvisato “evidenze plausibili che il glifosato provochi il cancro in animali da laboratorio”. Ma c’è una frase che, più di tutte, desta preoccupazione: “Il glifosato ha anche causato danni al Dna e ai cromosomi delle cellule dell’uomo”. “I danni al Dna portano quasi sempre al cancro”, spiega Alberto Mantovani, dirigente di ricerca all’Istituto superiore di sanità ed esperto in sicurezza alimentare. Mantovani è uno degli esperti scelti da Efsa nella valutazione del rischio alimentare, ma non fa parte del panel che dovrà fornire il parere alla Commissione Europea. “Se questi dovessero essere confermati, si potrebbe arrivare anche a ritirare il prodotto dal mercato, perché non si potrebbe definire un effetto soglia, cioè un limite entro il quale si corre il rischio. Le regole che si è data l’Unione Europea parlano chiaro: sostanze in grado di causare il cancro non possono essere usate come pestidici o fitosanitari”. Il professore sottolinea però come sia difficile dare un parere completo, fin quando lo Iarc non renderà noti tutti i dettagli della sua indagine, “ma la questione è molto seria e dev’essere valutata rapidamente”.
Fonte: Internationale, febbraio 2016