La bresaola a marchio Igp della Valtellina, negli ultimi 20 anni, ha visto quasi raddoppiare il gradimento tra i consumatori. Peccato che sia composta da alimenti non proprio italiani, come la carne di zebù (un bovino con la gobba tipico del Brasile), limousine e garronesi (bovini francesi) e altri bovini irlandesi e austriaci.
Vi state domandando se è una truffa? Assolutamente no, la legge lo consente. La Igp disciplina infatti il metodo (stagionatura) ed il luogo di produzione (l’intera provincia di Sondrio), ma non i tipi di carne che la bresaola debba contenere. All’articolo 2, inoltre, si precisa che la bresaola valtellinese per ottenere il marchio deve essere soltanto prodotta nella zona tradizionale di produzione, che è appunto la provincia di Sondrio. L’articolo 3 specifica che per bresaola si intende il salume ricavato da cosce di bovino di età compresa tra i 18 mesi e i 4 anni. L’unica garanzia per i consumatori sono i controlli della filiera ad opera del Ministero delle Politiche Agricole, ma per i produttori non c’è alcun obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni, che non viene quindi esplicitamente dichiarata.
I produttori della bresaola, però, assicurano: «Lo zebù è un animale che vive allo stato brado e semibrado, in ambienti incontaminati e garantiamo al 100% che la sua carne, oltre ad essere buona, è anche sana. Non possiamo fare altrimenti, i capi che abbiamo nella sola Valtellina basterebbero per produrre bresaola solo per una settimana». La Coldiretti e il Ministero, ad ogni modo, hanno invitato i produttori a indicare sempre l’origine di provenienza delle carni, ma prima di una direttiva europea occorrerà aspettare almeno un anno.
Fonte: cucina.corriere.it